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MEMORIE DI UN LAICO PELLEGRINAGGIO MOTOCICLISTICO [7]



"La! La!", esclamò Ameth e "La" scorgemmo la "piste", che si immerse nella peggiore pietraia del Tagant, una terra lapidata e sconvolta da milioni di eruzioni vulcaniche per milioni di ere, irta di massi simili ai chiodi del letto di un mostruoso gigantesco fachiro.

Non riuscimmo a superare la scogliera desertica, e tornammo da dove eravamo partiti. Restò nel cielo l'immagine del nostro strisciare come serpenti su quelle rocce e quando tornammo al punto di partenza, la nostra guida celeste impresse sul GPS l'astrologica magica visione di un tracciato simile alla lunga treccia calata sulla schiena della donna de "Gli antipodi", scolpita dal Maestro delle metope del Duomo di Modena.

Non ritrovammo la strada del Rally, ma nell'immensa radura, piatta e grigia, Ameth scorse di lontano un pastore con dromedario all'ombra dell'unica acacia; ignoro cosa si dissero, Ameth e il pastore, ma la nostra guida ci parve soddisfatta, pur nell'impassibilità del suo volto, e ci indicò la direzione. Quella notte al campo c'era la luna che illuminava il cielo con nubi a pecorelle, ma non montai la tenda, per godere del fresco notturno e mentre mi assopivo, cadde una pioggerella lenta, scandita come musica dai tasti del pianoforte.

Dopo due giorni di errabondo cammino nell'immenso Tagant, iniziò l'otto di Aprile l'aperto conflitto fra scienza ed esperienza umana, tra l'indicazione del percorso secondo il GPS e l'indice della mano del "timoniere" Ameth. Giunta la sera, mi ritirai come solito nella mia traballante tenda e nel dormiveglia ascoltai l'animata discussione tra Nanni ed Ameth, se discussione può dirsi quella tra un Mauro che della lingua francese conosceva solo: "La! La!" e "La piste" e un modenese che per rabbia e stanchezza parlava nel suo dialetto.

All'alba, smontato il campo, decidemmo di affidarci ancora una volta all'esperienza del nostro fossile Sahariano e ci dirigemmo verso aspre pietraie e dune sempre più alte, con sabbie sempre più cedevoli, sciolte dal calore solare. Le auto si bloccavano ora l'una, ora l'altra, o assieme, nei passaggi più difficili, e i motociclisti interrompevano la ricerca del tragitto, scendevano volando dalle dune, tra scie di sabbia, per liberare le macchine, poi risalivano di nuovo per segnalare i catini di sabbia scavati dal vento, ma della pista non c'era più traccia, nonostante le giagulatorie e l'indice della mano divinatoria di Ameth. Venne la sera e le dune ci circondavano, bellissime e impassibili, come Ameth in preghiera prima di avvolgersi in una tela incerata per dormire un sonno tranquillo.

Partimmo al sorgere del sole nel cuore delle dune che rincorrono il vento per coprire col loro manto ambrato le città sante del deserto e tra le dune mi sentii protetto come un bimbo nell'incavo dell'utero materno. Durante il tragitto udivo come una eco lontana la giaculatoria cantilenata di Ameth semicoperta dal rombo dei motori. La sua preghiera era la sorta di un antico esorcismo contro il nostro satellitare, che indicava con il suo: "La! La" artificiale la direzione delle sabbie violate dall'empia strada fantasma. Ad ogni preghiera del pellegrino Ameth, pareva apparire e riflettersi all'infinito, come in un gioco di specchi, la stessa identica duna: la duna dei miraggi che conduce per piste fantasma all'inferno degli "Afritt", i diavoli dell'Islam che compaiono tra vortici di sabbia sollevata dal vento.

Ameth, il nostro pio satellitare umano ci guidò infine: "La! La!" sulle piste tracciate dai Pellegrini che vanno alle Città Sante dell'Islam. Mi resta ora la memoria di Chinguetti, ormai sepolta come lava dalla sabbia; odo ancora la giaculatoria del Pellegrino cantilenata da Ameth e il sussurrare del vento Irifi che racconta leggende di tribù scomparse del Sahara. Negli occhi e nei sogni mi riappaiono le alte dune dai dolci colori di gioia e tristezza, il sole abbagliante, la volta celeste impallidita dal plenilunio.

Del Rally Parigi-Dakar non saprei cosa dire, credo che tecnicamente sia stato detto tutto, ma non dei popoli che vivono nel Sahara, nel Tagant e nei "loro" deserti, di cui conoscono ogni segreto, che amano questa terra pur così viva nella sua morte, dove ogni ciuffo d'erba, acacia, o mimosa sono sofferti alimenti. Come un pellegrino assetato ho sete di altri ricordi e desiderio di tornare in quei luoghi per meglio capire e ricordare ciò che con occhi distratti ho veduto nel lungo cammino.

"El hadj, el hadj" cantano i pellegrini, "Hayaratou" il coro delle donne percorrendo il deserto verso la Mecca.

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