|
|
MEMORIE DI UN LAICO PELLEGRINAGGIO MOTOCICLISTICo [6]
Lasciammo Tidijkja e trascorremmo la notte nel campo allestito da Nanni, ormai prossimi a El Khatt, cullati dal vento caldo Irifi; poi Ameth ci lasciò, invitato a riposare ospite di pastori e la mattina riapparve al nostro gruppo già allegro e schiamazzante. La nostra "gita" proseguì ed arrivammo a Rachid, sovrastata dal forte una volta inaccessibile, ora in rovina, abbandonato come l'antico villaggio, con un rigoglioso palmeto occupato da poche tende Maure. Ci ristorammo al pozzo con secchi d'acqua sul capo, circondati dai nomadi curiosi; ci avvicinarono alcune donne, chi con una, chi con ambedue le mani avvolte da una carta verdognola, così come una vecchia claudicante vista a Tidijkja, da me creduta lebbrosa. Le donne proteggevano invece il tatuaggio magico, taumaturgico, praticato sul palmo della mano, colorato con "henné" rosso e nero, su disegni geometrici.
Riprendemmo il cammino ed il tracciato si fece sempre più arduo; il Pellegrino Ameth, il nostro satellitare umano, puntava l'indice quasi fosse un timone nella stessa direzione indicata dai sofisticati strumenti e quando nelle pietraie riemergevano dalla sabbia delle dune tracce lasciate dal passaggio del Rally, esclamava compiaciuto: "La piste! La piste!". Alla vista dei macigni da superare, dubitammo che non fossero macchine, ma bensì dromedari e capre quelle che Ameth conduceva sulle pietraie erte e scoscese del Tagant. Le Toyota si bloccarono e solo le moto riuscirono ad inerpicarsi: gli amici guardarono male il nostro "Guidone" ed io il GPS. Dalla vicina oasi sbucarono bambini e ragazzi, che, seduti su massi, osservarono incuriositi le evoluzioni delle moto e i nostri spericolati passaggi di masso in masso aiutati nell'impresa dalle piastre da sabbia usate come rampe.
Imparammo così che il satellite ci dava implacabile, lassù dal cielo, la stessa direzione di Ameth ed in più solo la distanza che ci separava da Chinguetti; ma non eravamo su una barca che fende le onde del mare e la nostra rotta avrebbe potuto portarci a un punto di non ritorno, simili a naufraghi inghiottiti come i salumi di Nanni dalle dune del Tagant.
Il sole era alto quando fummo avvolti nelle spire di quelle dune, che si spostano e sembrano muoversi secondo la direzione del vento, che soffia impetuoso e crea catini simili a baratri. Ci arrampicammo per ore su sabbie cedevoli, sciolte dal sole, nelle quali sprofondavano le gomme: Marco, Gilberto, Davide, poi Nanni in ginocchio come Islamici in preghiera, spalavano la sabbia con le mani, poi Manuela, Flavia ed io, trascinavamo le piastre da sabbia.
Ameth invece si arrampicava sulle vette sabbiose alla ricerca del passaggio e sulla duna più alta singhiozzava il suo "La! La!". Scalammo in tre ore solo due chilometri di dune, con il timoniere Ameth, installato sulla Toyota Pick-up che cantilenava la lamentosa giaculatoria. "El Hadj", la preghiera del Pellegrino in cammino verso le città sante dell'Islam e alla lontana Mecca. Ma per noi laici Pellegrini in cerca delle orme del Rally, "El Hadj" non significava nulla, ne ci ricordava il canto pagano delle fiere di Medina.
 go back
|
|
|
