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MEMORIE DI UN LAICO PELLEGRINAGGIO MOTOCICLISTICO [3]


Lasciammo a Saint Luis il play boy del deserto e proseguimmo il mattino seguente la nostra "scampagnata" sulle piste Mauritane. Affrontammo baldanzosi la seconda tappa del Rally con il primo tratto desertico, il Trarza che separa Rosso sul fiume Senegal da Boutillimit, su una pista di sabbia molle; iniziò così il mio primo moto di simpatia per la motocicletta fuoristrada dei tre centauri del Rally, che balzavano di duna in duna sollevando vortici e scie di sabbia. Li scorgevo sparire dietro le dune, poi d'improvviso riapparire: era un gioco bellissimo, simile alla danza di snelli orici meccanici tra sterpi ed acacie gommifere. Di balzo in balzo, di fuga in fuga, simile ad un animale ebbro di vento, Marco non vide e tagliò la strada alla Toyota di Nanni, la sfiorò e volò in avanti, protetto e salvo dalla "Moana" e dal cascone. La prima giornata di "vero deserto" trascorse veloce, con forature di gomme delle moto penetrate dagli aculei delle acacie e interrotta dal pranzo al sacco con mortadella e maionese. Al bivacco della sera, la cena Modenese stonava orribilmente con il paesaggio desertico del Trarza e con la luminosa dolcezza della volta celeste che solo il Sahara può donare. Con gli occhi rivolti al cielo, udii il cantare, il sussurrare del vento Irifi tra le dune, acacie e mimose, accompagnato dal frusciare della mia tenda celata tra i cespugli, distante dalle lussuose tende a Igloo nelle quali riposavano i veri protagonisti del Pellegrinaggio. Avvertii così il contrasto tra l'elegante allestimento del campo, tra l'eccesso di strumenti scientifici e la semplicità del panorama desertico e mi pareva di rivedere un gioco infantile, simile a quando, da bambino, correvo tra le dune di Viserba, sull'Adriatico.

All'indomani, nella tarda mattinata, smontato il campo, ripartimmo e percorremmo un tratto della strada asfaltata che da Nouackchott porta a Nema. Giungemmo a Boutilimit dove, secondo quanto narra una guida turistica,: "in questa città non c'è assolutamente niente", se niente la guida intende il mare di dune che la cinge, colorate di giallo ocra, bianche come ossa calcificate, grigie come i tronchi scarnificati delle mimose del deserto. Dopo le città di Aleg e Sangrafa, iniziammo a percorrere il deserto del Tagant, per trascorrere un'altra notte sotto le stelle, vicini ad accampamenti di nomadi Mauri, cullati sino a tarda notte dai loro canti scanditi dal tam-tam, propiziatori dell'imminente plenilunio Pasquale, la notte del Tabaski, dedicata ad Abramo e all'arcangelo Gabriele. Qui canti mi ricordarono di quando nacque mio fratello il giorno di Pasqua, quando la tradizione voleva che il primo nato di Pasqua donasse al vescovo il cristiano Agnello sacrificale. Mio fratello non fu chiamato Isacco, perchè mio nonno si oppose e gli diede il suo nome quando lo tenne a battesimo in Duomo, con l'agnello belante, bardato di nastri azzurri, portato a guinzaglio dal suo cameriere (mio nonno gestiva un ristorante).

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